L’edificio è uno degli esempi più rappresentativi dello stile umbertino a Roma.
Venne realizzato a partire del 1889 per il chirurgo e\n senatore siciliano Francesco D\nurante, sull’estremità di Villa Patrizi, che bombardata nel 1849 e nella presa di Roma del 1870, versava in uno stato di abbandono. Per il progetto venne chiamato il noto architetto Giulio Podesti, che già dirigeva i lavori del Policlino Umberto I, di cui il Durante era cofondatore e primario.
La facciata, a bugne, in stile neorinascimentale presenta un’entrata con un pronao a quattro colonne ioniche che sorreggono il balcone della finestra centrale del primo piano. Le finestre sono incorniciate da colonne semicorinzie su cui poggia un timpano triangolare.
All’interno si possono ammirare in particolare un mosaico pavimentale bicromo in stile ellenistico e le decorazioni pittoriche, che vennero affidate agli artisti siciliani Salvatore Frangiamore (1853-1915) e Giuseppe Sciuti (1845-1929), e i romani Giuseppe Ferrari (1845-1929) e Enrico Coleman (1846-1991).
La sala di maggior pregio architettonico di Villa Durante si trova a destra dell’atrio denominata Sala delle Stagioni. Sulle quattro volte del soffitto sono raffigurate, infatti, estate, autunno, inverno e primavera del pittore Giuseppe Sciuti.
Nei primi anni Venti il villino fu acquistato dal Governo della Confederazione svizzera per ospitare la sede dell’ambasciata. Nel 1937 fu acquistata dalla ditta edilizia Castelli e nel 1938 diviene sede dell’Accademia di Arte Drammatica.

L’opera proposta in questa sede consente di riscoprire uno degli artisti più significativi del panorama artistico dell’Ottocento italiano: Giuseppe Sciuti, pittore di origini siciliane, ricordato soprattutto per l’abilità che raggiunse come frescante di scene di massa, desunte dalla storia classica, comprese nell’apparato decorativo di edifici pubblici e di residenze private come dimore e ville, appartenenti ad alcune famiglie nobili altolocate. In particolar modo, questa “Fioraia greca”, concepita come opera autonoma nella versione presentata, costituisce un modello iconografico che ritorna in almeno altri due lavori del pittore (riprodotti nel catalogo della mostra palermitana del 1989, a cura di Maurizio Calvesi e Antonella Corsi). Infatti, è possibile individuare una identica figura femminile sia nel cartone preparatorio” Preparativi per una festa “del 1885, realizzato a carboncino e tempera su cartone di cm 335 x 275, oggi conservato alla Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma, importante documento che attesta, con ogni probabilità, le fasi preliminari di uno degli interventi ad affresco, eseguiti dallo Sciuti, per la pompeiana Villa Maraini a Lugano; sia nel mobile in legno intarsiato con specchio dipinto ad olio di cm 208 x 115 x 46, “Servante con specchiera” (1885 – 1900), annoverato in una collezione privata della capitale. Questo trittico di opere, eterogenee per tecniche di lavorazione e per destinazione d’uso, conferma la predilezione del pittore, manifestatasi a partire dal 1885 circa, per i soggetti orientali, declinati soprattutto al femminile, come dimostrano, d’altronde, anche le protagoniste di “Un’offerta a Cerere”, altro carboncino su cartone preparatorio, realizzato nello stesso arco di tempo e conservato in collezione privata a Roma. Validi esempi di una sapiente costruzione formale della figura femminile, ancorata ad un ideale di bellezza classico, che nella Fioraia greca, dal corpo scattante, in torsione e ben tornito, raggiunge un esito particolarmente felice, dato, oltre che dalla giunonica presenza, anche da un distribuzione di una luce calda, pienamente mediterranea, capace di risaltare le trasparenze del velo.

Giuseppe Sciuti (Zafferana Etnea 1834 – Roma 1911) Fioraia greca 1885 – 1890 ca Olio su tela, 125 x 75 cm

1885 OFFERTE A CERERE DIPINTO G. SCIUTI VILLA MARAINI LUGANO

Il capolavoro artistico di Giuseppe Sciuti, olio su tela del 1890, raffigurante “Episodio della spedizione di Pisacane a Sapri”, appartenente alle collezioni di proprietà del Comune di Catania.

L’azione si svolge su una landa desolata, segnata da colline brulle, da un mare incupito e da un cielo rannuvolato, nella quale l’esercito borbonico attendeva i rivoltosi. Il patriota, semi sdraiato a terra, stringe al petto una bandiera tricolore, che invano un brutto ceffo tenta di strappargli. Impugna ancora la pistola, ormai senza più colpi in canna. La terrea espressione del suo volto sembra la maschera del dolore; le palpebre sono socchiuse, più che per il dolore f isico e la morte imminente, per il pensiero di essere stato ignobilmente tradito. Una popolana brandisce ferocemente un’accetta; un’altra è pronta a colpirlo con un sasso. Un soldato borbonico, con un cadavere tra le gambe, osserva impassibile l’esplosione di straordinaria crudeltà. Alla scena principale fanno da corollario altre turpitudini: un popolano depreda i morti; alcuni soldati trascinano un prigioniero. Sembra di assistere ad una sequenza cinematografica, col trionfo della violenza popolare, incontrollata e feroce, resa ancora più ripugnante dalle gonne festose delle due donne in primo piano, una verde, l’altra rossa, accompagnate da corpetti dorati e camicette bianche. L’opera, che è stata esposta a Roma in occasione delle recenti manifestazioni per il 150° anniversario della Repubblica, rappresenta un raro esempio di immersione nella storia moderna, fatta con tutt’altri registri espressivi, con risultati affatto diversi e con una drammaticità autentica, che ha nella figura di Pisacane il punto di irradiazione. Le tonalità accese delle vesti delle popolane si sovrappongono non soltanto alle divise militari, ma persino al paesaggio brullo e senza vita, che fu scenario del cruento episodio. Giuseppe Sciuti, offre qui una tangibile dimostrazione delle sue possibilità artistiche, della sua intelligenza creativa e della sua perizia nell’affrontare temi per lui insoliti.

L’opera d’arte Studio per prigionieri politici 1799 di Sciuti Giuseppe (1834/ 1911), si trova nel comune di Napoli, capoluogo dell’omonima provincia sita in Palazzo di Capodimonte.

GIUSEPPE SCIUTI: I prigionieri del 1799

Nel 1875 la Deputazione provinciale di Sassari bandì un pubblico concorso “fra tutti i pittori frescanti d’Italia” per la decorazione della “gran sala” delle riunioni del Consiglio.
Fu deciso che l’episodio storico da rappresentare avrebbe dovuto essere l’entrata a Sassari di Giommaria Angioy del 1796. Il soggetto simboleggiava embleticamente il rapporto, spesso conflittuale, che legava la città alle “ville” del territorio circostante.
L’Accademia di San Luca di Roma, con 16 voti su 20, scelse il bozzetto di Giuseppe Sciuti.Era proprio il periodo in cui il pittore di Zafferana Etnea, allora quarantenne, si avvicinava a quelle nuove tendenze che intendevano combinare le nascenti esigenze di realismo con le tematiche tipiche delle raffigurazioni storiche del romanticismo. In quegli anni le decorazioni pittoriche dei nuovi edifici pubblici dovevano assolvere due compiti importanti: celebrare i fasti della storia nazionale e contemporaneamente valorizzare la storia locale, rievocando il passato e giustificando il presente.
Le opere dello Sciuti si inseriscono in questo filone artistico, primo esempio in Sardegna del grande ciclo pittorico civile.


La Sala Sciuti

Uno degli Atlanti o Telamoni che si trovano nella Sala Consiliare – decorata dall’artista catanese Giuseppe Sciuti nel 1877 – 1878
A metà altezza, “come una stretta galleria”, 12 mori bendati attirano lo sguardo con grande curiosità.

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Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari,
Sassari, Palazzo della Provincia, Salone delle adunanze, 1878

La grande sala del Consiglio viene occupata, nella parete maggiore, dall’”Entrata di Giommaria Angioj in Sassari”.
Alle spalle della presidenza è raffigurato: “L’ingresso trionfale in Sassari di Giovanni Maria Angioy”

( 1796).

Nel febbraio del 1878, dietro compenso di 30.000 lire, il pittore Sciuti inizia a lavorare all’affresco dedicato all’Angioy, documentandosi con scrupolo e serietà, attraverso la consultazione di libri illustrati, arrivando anche ad acquistare armi e costumi antichi, disegnando dal vivo numerosi ritratti di sardi da inserire nell’affresco, come popolani o “zappatori” sassaresi.
Sciuti si documenta attraverso la letteratura storiografica ottocentesca, come la descrizione data da Francesco Sulis nel suo Dei Moti Politici dell’isola di Sardegna (1857): “A Sassari il grido fu quello di Abbasso i nobili, abbasso i preti, viva Angioy, viva la repubblica. Il rappresentante della libertà e della Repubblica, Giommaria Angioy, sfavillando dagli occhi l’affetto dell’animo, procedeva tra la calca a passo lento e a capo scoperto, col sorriso sul labbro, colle mani alto levate per saluto. Sebbene egli non fosse aitante della persona, tutta essa parea sollevata pel piglio audace, cui aggiungeva grazia un mantello di vaio rosso a grandi baveri di gallone dorato che dalle spalle drappeggiava sulla cavalcatura. Smontava alla gradinata del Duomo venendogli innanzi i canonici ad inchinarlo e a benedirlo”.

Giovanni Maria Angioy (1751-1808), di Bono, giudice della Reale Udienza, imbevuto di idee illuministiche, era a Cagliari uno degli esponenti del cosiddetto “partito democratico”, che ebbe un ruolo di primo piano nella cacciata dei piemontesi dalla città. Nel 1796 venne inviato a Sassari come alternos, cioè con i pieni poteri del viceré, per sedare i tumulti contadini e ricondurre la città turritana, bastione della resistenza feudale, all’obbedienza verso la politica riformatrice del Parlamento isolano.
Partì da Cagliari con una scorta ridotta, accolto con simpatia dai vari paesi che attraversava durante il viaggio, dove la popolazione gli esponeva i suoi disagi e i suoi bisogni. La figura di Angioy, che si rendeva conto dei gravi problemi dell’isola e delle esigenze dei suoi abitanti, iniziò ad essere accostata più a quella di un liberatore che a quella di un emissario del potere reale. Così, il suo ingresso a Sassari, la stessa Sassari conquistata solo due mesi prima dai contadini insorti, si trasformò in una grande manifestazione democratica e antifeudale.

Nell’affresco dello Sciuti Angioy avanza a cavallo, seguito dalle truppe territoriali sarde (i “miliziani”), e circondato da una folla festante. Il suo ritratto è preso dall’incisione inclusa nel Dizionario degli uomini illustri di Sardegna (1837) di Pasquale Tola: in primo piano, un gruppo armato di contadini delle “ville” fiancheggia Gioacchino Mundula, ardente rivoluzionario sassarese, il quale impugna una bandiera. La statua del santo e la casa con il terrazzo, sulla sinistra, sono invece di fantasia.
Nella raffigurazione dei costumi sassaresi della fine del XVIII secolo, ortolani, zappatori, signori della borghesia, e in quelli sardi delle “ville” circostanti (ad esempio la contadina che mostra il proprio figlio ad Angioy, e che è rappresentata col costume del paese natale del Giudice) vi è una grande aderenza alla realtà e alle fonti iconografiche del tempo.

L'”Entrata di Giommaria Angioj in Sassari”, va annoverato tra i migliori affreschi dell’artista siciliano non solo perché qui la perfetta scansione luminosa consente di leggere a uno a uno i volti di chi partecipa al grande apparato celebrativo, ma, soprattutto, perché i colori usati rifuggono il rischio di appiattirsi nella omogeneità e sfociano in una sinfonia di tinte che trovano nel bianco un motivo di coesione.

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La Sala Sciuti

La Proclamazione della Repubblica Sassarese

Nella parete di fronte a quella in cui è stata affrescata l’Entrata di Giommaria Angioj in Sassari, trova posto “La repubblica sassarese”.
Ma il vero capolavoro è dalla parte opposta “del salone”: “La proclamazione della Repubblica Sassarese del 1294”, dove il consiglio e gli Anziani del comune ascoltano in religioso silenzio e con grande attenzione la lettura degli “Statuti”.
Quando agli inizi del 1880 Sciuti finisce di dipingere l’affresco sovrastante il seggio presidenziale, subito il Consiglio provinciale gli affida l’incarico di affrescare anche la parete di fondo della “gran sala”. Il soggetto prescelto è stavolta la proclamazione della Repubblica sassarese del 1294, soggetto legato alla storia municipale e non a quella provinciale.Sciuti inizia a lavorare immediatamente, senza problemi di reperimento di fonti iconografiche, in quanto l’affresco rappresenterà, in un’invenzione ideale, gli Anziani del Comune, il Podestà e il Consiglio Maggiore, riuniti nell’antico Palazzo di Città, mentre ascoltano gli ambasciatori sassaresi leggere i termini della convenzione firmata il 24 marzo 1294 tra il Comune di Sassari e la Repubblica di Genova.
Attraverso la convenzione, i sassaresi giuravano obbedienza al Comune di Genova, e alla città turritana veniva riconosciuta l’autonomia comunale, con la possibilità di reggersi con propri statuti e ordinamenti. Il Medioevo di Sciuti ripropone un gusto caro all’iconografia romantica e alle scenografie operistiche, con chiari riferimenti alla scena finale del secondo atto del Simon Boccanegra di Verdi.
L’affresco è terminato nel luglio 1881: Enrico Costa ci ricorda che il pittore De Sanctis, visitando il salone del Palazzo della Provincia non può fare a meno di notare che a il quadro vale, a parer suo, almeno quanto l’intero Palazzo.

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Di pregio l’affresco della volta, con una superficie di circa 90 metri quadrati . Nel soffitto, “L’allegoria della Patria”, dalle antiche origini italiche a Vittorio Emanuele II.

Nel soffitto fu affrescata un'”allegoria della storia d’Italia”, dalle tenebre del passato remoto al radioso futuro di progresso assicurato dall’Unità nazionale allora appena raggiunta.

“Allegoria della storia d’Italia

Sullo sfondo del cielo, al di sopra di un nembo , è rappresentata l’allegoria della storia d’italia, dalla “notte” dei tempi remoti al radioso sole del progresso della Nazione finalmente unita.
L’intento dello Sciuti, nell’affrescare “il salone”, sulla volta, fu certamente quello di creare con la sua opera, una sintesi delle quattro epoche della storia d’Italia: antica,romana, medioevale e moderna; mentre sugli angoli e sulle pareti laterali, ha inteso rappresentare con grande trasporto, personaggi e fatti della storia della Sardegna come Eleonora d’Arborea e Amsicora.
Un racconto creato nel rispetto della storia ma anche con tanto amore e professionalità.

Il castello dei Pennisi di Floristella, opera del palermitano Giuseppe Patricolo, vanta una piccola cappella dedicata al Battista, che, come uno scrigno, conserva gli affreschi realizzati da Giuseppe Sciuti dal 1905 al 1907. La cappella, ultimata il 24 dicembre 1893, era priva di affreschi.

La Cappella ha uno sviluppo in altezza; occupa, infatti, il piano terra e il primo piano dell’ultima ala. Il cielo stellato della volta a crociera, di un azzurro trapuntato da lucide stelle, si sposa perfettamente con i paramenti architettonici.

Sciuti riempì la piccola chiesa con le figure di otto santi. Scelti in base ai nomi dei rappresentanti della nobile famiglia. Troviamo così Agostino, Pasquale Baylòn, Enrico, Antonio di Padova, gli arcangeli Raffaele e Gabriele, la Madonna e San Giuseppe. Salta subito agli occhi la originalità. I santi di Sciuti hanno poco in comune con quelli che siamo abituati a vedere nell’agiografia corrente. “Senza civetteria di forma, con tinte poderose e sobrie, con una fattura smagliante e grandiosa, con sapiente parsimonia di mezzi, con sicura e inappuntabile correttezza di disegno, l’Artista esimio ha sfoggiato il suo talento veramente grande facendo di ogni soggetto dei quadri nel vero significato ,senza risparmiare nessuna delle luminose risorse della sua magica tavolozza che, unica e sola, sa dare la sorprendente melodia del colore”. (Cosi ITICAR, pseudonimo di Gaetano Raciti, su l’Imparziale). Nei cartoni, il disegno appare ben curato, minuzioso, anche se alcune figure hanno un gusto accademico. Nella realizzazione, invece, il colore dà pregnanza alle figure e l’intera composizione acquista valore.

Particolarmente riuscito, “Sant’Agostino”. Il ricco mantello vescovile, la tiara e il testo sacro che sta leggendo, non eliminano la sua profonda umanità, espressa convincentemente con l’affaticamento degli occhi e la mano sinistra a carezzare la barba bianca. Agostino d’Hippona vescovo, filosofo, teologo, uno dei massimi pensatori cristiani del primo millennio, non dimenticò mai di essere anzitutto un uomo, con i suoi slanci e le sue cadute: un uomo che costrinse la propria fede a ragionare.

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Palazzo Calanna fu eseguito nel 1890 su disegno dell’ing. Panebianco. L’imponente palazzo, che soffre dell’angustia della strada su cui prospetta, presenta un solido piano terra ,ed un primo piano con un grande loggiato centrale, che costituisce l’idea cardine di tutta la facciata. All’interno del palazzo Calanna si conservano numerosi affreschi di Giuseppe Sciuti (1905).

Con un compenso di quindicimila lire, il cav. Andrea Calanna commissionò a Giuseppe Sciuti la decorazione delle sale interne del palazzo che egli, negli ultimi anni dell’800, si era costruito, su progetto dell’architetto Mariano Panebianco. L’artista accettò di buon grado l’offerta, che gli consentiva di lavorare in Acireale, città a cui si sentiva legato perché acese per parte di madre; così negli anni dal 1902 al 1905 si trasferì da Roma, dove risiedeva con la famiglia, e si dedicò a tempo pieno alla preparazione e alla esecuzione degli affreschi di palazzo Calanna.

Il più vasto di essi occupa l’intera grande parete dello scalone monumentale, e raffigura” La battaglia di Aquilio”: si tratta del conflitto vittoriosamente condotto dal console romano Manio Aquilio nel 100 a.C. contro gli schiavi siciliani in rivolta guidati da Atenione.

Gli altri dipinti riguardano i soffitti delle stanze interne del palazzo, e hanno per soggetto “Il genio dell’istruzione”, “Le baccanti”, “La rimunerazione”, “Il silenzio e il sonno”, “Le quattro stagioni”, “La confidenza”, “L’iride”.

Le Baccanti

Giuseppe Sciuti,Le quattro stagioni, “Estate”,affresco (1905) – Acireale, Palazzo Calanna.

Giuseppe Sciuti,L’Inverno.affresco (1902-’05) – Acireale, Palazzo Calanna.

Giuseppe Sciuti,L’autunno.affresco (1902-’05) – Acireale, Palazzo Calanna.

Giuseppe Sciuti,La primavera.affresco (1902-’05) – Acireale, Palazzo Calanna

Sciuti era all’epoca settantenne: era artisticamente già affermato e, potremmo dire, arrivato; aveva lavorato a Catania, a Sassari, a Palermo, e, con grande fertilità, a Roma. Nel periodo degli affreschi di casa Calanna fu a più riprese onorato e festeggiato dagli acesi (che nel 1902 gli avevano conferito la cittadinanza onoraria), ai quali rimase sempre grato. E fu proprio in questo clima di unanime stima verso di lui che nel vescovo di Acireale mons. Gerlando Maria Genuardi e nel capitolo della cattedrale di Acireale maturò l’idea di affidargli il compito di affrescare la grande volta della navata centrale del duomo, opera alla quale egli lavorerà poi negli anni immediatamente successivi I dipinti Calanna manifestano, nella evoluzione della cifra stilistica dello Sciuti, una indubbia originalità: sembra abbandonata (almeno per il momento: riaffiorerà parzialmente negli affreschi del duomo) la predilezione per i vistosi panneggi con prevalenza di bianco e per gli effetti chiaroscurali di reminiscenza tiepolesca, mentre appaiono palesi concessioni all’avanzante gusto del liberty, e nuove tonalità cromatiche si presentano sulla tavolozza dell’artista. Occorre infine notare che, accurato e meticoloso come era nella ideazione e nella preparazione delle grandi opere di decorazione muraria, egli di ogni lavoro allestiva puntualmente dei cartoni preparatori, cartoni che in sé costituiscono tuttora delle opere d’arte di gran pregio, oltre che una preziosa fonte di documentazione e una eloquente testimonianza del suo metodo di lavoro.

Dopo il definitivo trasferimento a Roma del 1875, Giuseppe Sciuti ottiene moltissime committenze pubbliche e private. Realizza gli affreschi della sala consiliare del Palazzo della Provincia di Sassari tra il 1878 e il 1880, con episodi di storia cittadina.
Nel 1880, partecipa al concorso per la decorazione del Senato, poi vinto da Cesare Maccari (1840-1919), con episodi di storia antica. Per il municipio di Zafferana, negli anni Novanta esegue l’”Episodio della spedizione di Pisacane a Sapri “e “Restauratio aerarii”.
Si dedica inoltre ad una lunga serie di cicli pittorici per diverse chiese di Acireale e Catania e nel 1894 decora il sipario di Teatro Massimo a Palermo.
Negli ultimi anni si manifesta in Sciuti una predilezione per tematiche simboliste e allegoriche. Questa già compare nella decorazione della volta del Duomo di Acireale con scene allegoriche su fondo oro. Appartengono a questo nuovo indirizzo le allegorie” Il genio dell’istruzione”, “La rimunerazione”, “Con il benessere fioriscono le arti e le scienze”.

La vera maturazione giunge negli anni napoletani, al fianco di Morelli. Il genere storico, trattato con il realismo morelliano, diventa la sua cifra caratteristica. Giuseppe Sciuti partecipa alla Promotrice del 1867

” Suonatori alla porta di una camera di ritrovo “e con “Una tentazione”.
Dipinti questi che gli fanno ottenere una serie di lodi e lo fanno conoscere al grande pubblico. Alla Promotrice di Napoli del 1869 espone “Una scena del 1849 in Sicilia” e” Un fanciullo che torna da scuola premiato”. In questi anni, lavora poi insieme a Morelli nell’esecuzione del sipario del Teatro Verdi di Salerno. Inaugura così la sua lunga stagione di decoratore e frescante di edifici e chiese.
All’Esposizione di Parma del 1870 espone” La pace domestica”,” I prigionieri di Castelnuovo” dopo la capitolazione del 1799 e” Le madri della patria nel 179 in Napoli”. Si fa interprete poi di tutto un filone neo-pompeiano, con dipinti quali “Pompeiane ed Aspasia”, esposti nel 1874 a Firenze. E ancora, con” Mosè davanti al Faraone”, con “Pindaro che esalta un vincitore dei giochi olimpici” (Milano, 1872) e con “Pompeiani” (Napoli, 1875).